Mi sono soffermata a pensare alle parole della prima lettura, il brano di Isaia in cui si descrive quella che sarà poi la passione di Cristo:
"Maltrattato, si lasciò umiliaree non aprì la sua bocca;era come agnello condotto al macello,come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,e non aprì la sua bocca.(Is 53,7)e all'interrogatorio che viene fatto a Gesù sia da Pilato che da Caifa.
Gesù dice pochissime parole. Dice solo ciò che è essenziale in quel momento.
Ma dalla sua bocca non esce mai una parola di accusa, una condanna verso chi stava commettendo quell'enorme ingiustizia.
Non c'è rabbia, non c'è nemmeno rassegnazione di fronte all'ormai inevitabile epilogo.
C'è una lucida, serena, cosciente accettazione dei fatti, consapevole che ciò che stava facendo era un gesto di amore immenso, per salvarci.
Lui, accusato ingiustamente, denigrato, deriso, umiliato, offeso, picchiato, torturato, non ha alzato la voce contro chi gli stava facendo questo.
Non li ha accusati o minacciati, anzi, ha pregato dicendo: "Padre, perdonali"
E noi?
Noi siamo sempre pronti a puntare il dito contro chiunque non sia ai nostri occhi più che "perfetto", sempre pronti a cercare la pagliuzza nei loro occhi, a condannare, ad ergerci giudici, credendo di sapere ciò che Dio vuole o non vuole e, in suo nome, condanniamo chiunque non rientra nei nostri ideali di santità. Salvo poi assolverci per ogni cosa, perché in fondo "non ho ucciso nessuno, non ho rubato, vado sempre in chiesa..."
E Gesù continua a tacere, a chiedere anche per noi "perdonali, perché non sanno quello che fanno".