mercoledì 8 gennaio 2020

Epifania 2020


Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
(Is 60, 1-2)


Durante la liturgia dell’Epifania, ascoltavo queste parole. Sono parole “vecchie” di decine di secoli, ma sempre, purtroppo, attuali.
La terra, mai come oggi, è avvolta nella nebbia fitta. Nebbia fatta di odio, pregiudizi, paure, brama di potere e di soldi (che poi sono la stessa cosa), indifferenza verso gli altri e verso la salvaguardia del pianeta, che scatenano guerre, soprusi, violenza, distruzione. In una parola: morte. Del corpo, dell’anima, del pianeta.

Ogni volta che un pericolo sembra essere scampato (finalmente settimane fa ha piovuto in Amazzonia e ormai nessuno ne parla più, così come per gli incendi in Siberia, dove immagino che l’arrivo delle piogge dell’autunno abbia spento tutto), ne arriva uno nuovo. L’Australia sta bruciando. Milioni di animali muoiono e forse si estingueranno per sempre. Decine di persone sono morte o hanno perduto tutto ciò che avevano. Nel frattempo c’è il potente di turno che, per cercare di fermare la sua possibile dimissione forzata e forzare la popolazione ad eleggerlo di nuovo, sta creando un nuovo nemico da combattere, mettendo in atto un vero atto terroristico, del tipo di quelli che si vanta di combattere, mettendo così in pericolo la pace mondiale. E qualcuno gongola, al pensiero che nuovi migranti affolleranno le porte dell’Europa per cercare rifugio, perché così avrà materiale fresco per farsi rieleggere a sua volta.

E i cristiani, cosa dovrebbero fare, di fronte a tutto ciò?
Lasciarsi andare alla disperazione? Maledire il cattivo di turno? Augurare la fine del mondo o dell’umanità, affinché tutto ciò finisca?
Tanti anni fa, di fronte alla mia preoccupazione di adolescente di fronte ad una ennesima minaccia di guerra, mio fratello mi disse: “Un cristiano non può essere pessimista. Non sarà l’uomo a decretare la fine del mondo, sarà Dio a deciderlo”.
Credo ancora fortemente in questo.
Un cristiano sa che “nebbia fitta avvolge le nazioni”, ma sa che deve alzarsi e “rivestirsi di luce” perché anche oggi, come allora a Betlemme, viene la nostra Luce.
La luce di Dio non smette di brillare sul mondo.
Su chi crede risplende il Signore.
Questo è il nostro compito: far risplendere la gloria del Signore in mezzo a questa nebbia. Mostrare al mondo che la luce c’è, basta cercarla. Che il mondo non è di chi distrugge, ma di chi ama. Che ci sarà sempre una speranza, anche nel buio più fitto: “la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta” (GV 1,5)

Dobbiamo essere come quei volontari che portano poche gocce d’acqua agli animali assetati e morenti per gli incendi. Cosa saranno, poche gocce? Eppure, per quell’animale, faranno la differenza fra la vita e la morte. Dobbiamo essere come quelli che portano un pasto caldo ai senza tetto. Non salveranno tutti i senza tetto del mondo, ma per QUELLA persona faranno la differenza. Ogni piccolo gesto, ogni nostra azione quotidiana, sarà una piccola luce accesa contro le tenebre.
“È meglio accendere una candela, che maledire l’oscurità” dice un proverbio (forse cinese? Non ho mai trovato la fonte originaria).
Ne sono convinta.
Tra l’altro maledire ci rende simili a chi stiamo disprezzando. Un cristiano è chiamato ad amare e pregare perfino per queste persone che stanno distruggendo la speranza. Affinché si fermino, si convertano, capiscano cosa stanno facendo, cambino… O, almeno, preghiamo per non farci travolgere e abitare dallo stesso odio che abita in loro.
Cerchiamo di accendere la nostra piccola candela ogni giorno. 




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