lunedì 10 dicembre 2018

"non c'era posto per loro..."

"...non c'era posto per loro..."

Ogni anno, nella notte di Natale, leggiamo queste parole e ci commuoviamo di fronte alla famiglia di Gesù, costretta ad andare in una stalla perché gli alberghi erano tutti pieni per via del censimento. Nessuno ha cercato di trovare un piccolo spazio per una donna che stava per partorire, forse perché all'epoca la donna non contava proprio nulla (meno degli animali domestici), forse perché davvero non c'era posto, forse perché era normale che si dormisse anche in una stalla, una capanna, una tenda.

Tuttavia, ogni anno, cantiamo con la lacrimuccia di Gesù deposto in una mangiatoia anziché in un letto, "al freddo e al gelo", ma poi non siamo capaci di muovere un muscolo davanti a chi, al freddo e al gelo, c'è adesso, sotto ai nostri occhi. E sono sempre - come allora - un bambino, una giovane incinta, un giovane uomo che la accompagna.

Mi viene da chiedermi se anche noi, ospiti dell'albergo pieno, ai tempi di Gesù, avremmo ceduto il posto a Maria o ci saremmo voltati dall'altra parte, indifferenti.
Avremmo detto, come ho letto in giro sul web "Gente a dormire sotto i ponti c'è sempre stata, perché dovrei fare qualcosa proprio per loro?"

Gesù ci ripete da duemila anni "ogni volta che avete fatto questo ad uno dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me"

Questo significa che ogni volta che lasciamo che una persona venga buttata in strada, sotto la pioggia, con un neonato, abbiamo buttato in strada Gesù stesso.
Che ogni volta che ci giriamo dall'altra parte perché "tanto i poveri ci sono sempre stati", abbiamo voltato le spalle a Gesù.

Ma non vorrei che pensaste che stia dicendo di aiutare il prossimo solo perché in lui Si rispecchia il volto di Gesù. Questo potrebbe far pensare che degli esseri umani poco importa, li aiutiamo solo in quanto immagine di Cristo.
No, perché Gesù, prima di tutto, ci parla di "fratelli". Ogni uomo è nostro fratello, prima che immagina di Dio. Quindi il nostro aiuto, la nostra compassione, tutto ciò che facciamo, lo dovremmo fare per prima cosa perché è nostro fratello, sapendo anche che Gesù considererà questo gesto come fatto a Lui stesso.

Ma quando andiamo in chiesa e parliamo di questo, del fatto che ogni uomo è nostro fratello, siamo consapevoli di ciò che diciamo?

Ho due fratelli e quando stanno male, sto male. Quando sono felici, sono felice. Quando hanno bisogno, accorro.

Se ogni uomo è mio fratello, non dovrei fare lo stesso?

Oppure solo chi va in chiesa come noi, chi ha il nostro stesso colore di pelle (sono fregata, ho una pelle bianco-giallino-cadavere, non sono molti ad averla così...), chi non è troppo sporco, merita l'appellativo di "fratello"?

Non possiamo, da soli, salvare tutti, certo. Ma possiamo non restare indifferenti, non spargere parole di odio, unirci o creare iniziative per proporre soluzioni, protestare contro le ingiustizie, attivarci in gruppo per realizzare qualcosa di concreto che aiuti gli altri.

In ogni bambino che nasce su un gommone, sotto un ponte, sotto ad una tenda, in un campo rifugiati in mezzo al fango, c'è Gesù che nasce, come duemila anni fa, dentro una stalla.
In ogni bambino, donna, uomo, che muore di fame e sete su un gommone, annegato in fondo al mare, ucciso dal fuoco acceso per scaldarsi in una baracca, stremato di fatica sotto al sole per un lavoro da schiavi, c'è Gesù che muore crocifisso.

Ricordiamocelo, quando entreremo in chiesa, la notte di Natale.

E non giriamo al largo con aria annoiata o infastidita da chi, rannicchiato sulla soglia, ci chiederà pochi spiccioli, che nulla tolgono alle nostre tasche piene di smartphone all'ultimo grido.
Perché Gesù sta proprio lì.

lunedì 12 novembre 2018

Violenza chiama violenza

"Se ho parlato male, mostrami dov'è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi colpisci?"

Queste parole sono pronunciate da Gesù, circa duemila anni fa, davanti al sommo sacerdote che lo interroga.
Sono convinta che questo criterio andrebbe applicato anche con i nostri figli.
Se davvero hanno fatto qualcosa di sbagliato, perché colpirli con il "classico" sculaccione, anziché mostrargli cosa hanno fatto che non va, così che capiscano e facciano loro questo insegnamento?
E davvero è necessario colpirli perché hanno fatto qualcosa come rovesciare una tazza, scrivere su un muro, toccare un televisore...? Cosa dovrebbero fare, allora, a chi passa col rosso, a chi non emette lo scontrino, a chi parcheggia sulle strisce? Fustigazione sulla pubblica piazza? E pensiamo davvero che, se non gli diamo uno sculaccione a due anni, a quindici rovesceranno ancora la tazza? O a sei lanceranno il cibo in terra?
Il bambino che impara a non fare una cosa perché altrimenti arriva lo sculaccione, che insegnamento ne ricaverà?
Che è meglio agire di nascosto, così non riceverà la punizione?
Che quando sei più grande e forte di un'altra persona, puoi imporre la tua volontà con la forza, oppure che, se le persone che ami di più al mondo e che dicono di amarti, possono colpirti, se l'uomo con cui ti metterai ti darà uno schiaffo, lo farà "per amore", o perché "te lo meriti"... Oppure, se sarai un poliziotto e una donna verrà a denunciare un marito violento, le dirai: "Era solo uno schiaffo, non è violenza"? E se avrai una compagna che ti farà arrabbiare, le darai uno schiaffo "per il suo bene", "per insegnarle che..."?
Se la maestra di nostro figlio gli desse uno sculaccione, diremmo che è stato picchiato, faremmo una denuncia alla scuola o diremmo: "uno sculaccione non è picchiare"?
E se nostro figlio imparasse a fare altrettanto con i compagni?
E se davvero pensiamo che uno sculaccione non sia "picchiare", perché lo usiamo?
Lo usiamo perché pensiamo che il bambino, sentendosi colpito, elimini il comportamento sbagliato per... diciamolo: per PAURA di riceverne ancora. Altrimenti, se non provasse né dolore, né paura, né timore o vergogna, perché mai dovrebbe cambiare comportamento per evitare di nuovo di essere colpito?
E cosa vogliamo dai nostri bambini, che si "comportino bene" perché sennò arriva lo sculaccione, oppure che lo facciano perché hanno capito che certi comportamenti sono preferibili ad altri o che certe azioni sono pericolose o perché si fidano di noi che gli diciamo che certe cose non si fanno e altre si fanno ecc...?

lunedì 24 settembre 2018

"Cinque minuti per te"


Quando mi capitano fra le mani riviste “femminili”, trovo spesso articoli del tipo: ”Bastano 5 minuti al giorno per tornare in forma”, “Più bella in soli 5 minuti” e così via. Pensi che la tua giornata sia frenetica e tu non abbia tempo? Niente più scuse: “basta spostare la sveglia di cinque minuti”. 
Ora, a parte che la mia sveglia suona già alle sei e mi pare sufficiente e che la gatta – che sicuramente ha letto questi articoli – spesso e volentieri mi sveglia anche prima, tipo le cinque, io sono davvero curiosa di sapere come faccia a stare tutto ciò che suggeriscono dentro i “cinque minuti” che dichiarano. 
A meno che non si abbia il giratempo di Hermione Granger…
Vediamo un po’…
“Inizia la tua giornata col sorriso, con il saluto al sole; pratica yoga antichissima…” Sono infatti duemila anni che il sole si chiede cosa cavolo hai da ridere alle sei di mattina di gennaio, quando lui se ne sta ancora dormendo beato su una spiaggia delle Canarie. Mi sembra di sentirlo: “Salutami tua sorella, ci vediamo alle otto”
Dopo di che “una doccia con il getto freddo, tonifica la pelle e riattiva la circolazione” e ti riduce all’istante ad un incrocio tra un Polaretto e un bastoncino Findus.
Ma siamo solo all’inizio.
Mentre sei sotto la doccia non dimenticare di passare il guanto di crine, “per eliminare le cellule morte” che, se non erano morte prima, lo saranno sicuramente dopo l’uso del suddetto strumento di tortura.
Dopo la doccia, un “velo di crema idratante”, “un trucco leggero dopo aver applicato la crema antirughe” (grazie, mi hai appena ricordato che sto invecchiando) e, poi, la “scelta dell’outfit giusto” (ché dire vestiti non fa figo). Non so voi, ma io al mattino (mattino… direi all’alba) apro l’armadio e lascio che i capi più temerari mi saltino addosso. Perché rotolarmi nell’armadio per vedere cosa resta attaccato si configura come “attività fisica”, cosa che la mattina proprio, guarda… una voglia…

Risultati immagini per buongiorno
Arriva il momento della colazione.
“Il momento più importante della giornata” (e già qui mi vedo, vecchia e canuta, seduta sul divano accanto al marito, indicare con mano tremante delle vecchie foto ingiallite: “ricordi, caro? La colazione del 20 luglio del ’98?” Altro che primo bacio, primo giorno di scuola…) “concediti almeno un quarto d’ora per una colazione sana e nutriente” 
L’orologio sul muro ticchetta impietoso, il Bianconiglio corre disperato per la cucina gridando “Sono in ritardo! Sono in ritardo!”, ma tu, no, tu imperterrita, apparecchi la tavola che famiglia del Mulino Bianco levati, metti pure il mazzolino di fiori di campo appena colti (abiti al settimo piano del centro di Milano, ma questo è un dettaglio), fai entrare il sole (che nel frattempo ha deciso di alzarsi), svolazzi a piedi nudi in cucina (i pezzi di Lego che si conficcano nel tallone li toglierai in seguito, al pronto soccorso) e prepari il centrifugato di mela-arancia-carota-sedano-kiwi-dell’Himalaya, il tè verde bio raccolto all’alba del solstizio d’estate da dieci vergini tibetane, il pane di kamut con lievito madre, la marmellata-fatta-in-casa-con-la- frutta-del-contadino e ti siedi sorridendo al resto della famiglia che arriva felice ed entusiasta di iniziare una nuova giornata di lavoro e di scuola.
A questo punto, tonificata, nutrita, truccata, vestita di tutto punto, puoi uscire per andare a spiegare al/lla tuo/a datore di lavoro come mai sono le dieci di mattina e tu non sei ancora al tuo posto.

martedì 17 luglio 2018

Com'è profondo il mare?

È tutto il giorno che, ogni volta in cui provo ad accedere al web (che sia sui social o sui quotidiani on-line o altri siti di informazione), mi appaiono sotto gli occhi due immagini terribili.
Una donna col suo bambino, distesi su di una tavola di legno, morti.
Una donna con gli occhi sgranati, quasi assenti, che viene salvata. Unica superstite di quel naufragio.
E ogni volta resto con l'animo sospeso fra il desiderio di scansare quella visione e il bisogno di fermarmi a pensare a ciò che è successo.
Guardo quella coppia e penso cosa avrei fatto al loro posto. Dicono che la madre sia morta per prima. E non riesco ad immaginare il dolore di una madre che si accorge di stare perdendo le forze e sente che non riuscirà a salvare il suo bambino. Penso ad uno qualsiasi dei miei figli e cosa proverei a sapere che sto morendo e non posso aiutarlo in un momento in cui ha un bisogno smisurato di me.
E penso a quel bambino, morto guardando il cielo, quel cielo sotto al quale viviamo tutti e che non ha barriere, confini, porti chiusi, così come non ne dovrebbe avere la terra, dove invece noi abbiamo innalzato muri, disteso reti e filo spinato, seppellito mine, sparso odio...
Mi chiedo se quel bambino avrà avuto avvia la forza di fare un ultimo pianto, chiamando la madre che non rispondeva più. E penso a quanta angoscia deve avere provato, nel vedere che lei non poteva più aiutarlo ed era solo.

Nessuno dovrebbe morire da solo.
Nessun bambino dovrebbe morire da solo.
Nessun bambino dovrebbe morire.

Guardate queste persone. Davvero non vi si contorce più lo stomaco a vedere la morte di innocenti? Davvero passate oltre con indifferenza come se si trattasse dell'ennesimo film catastrofico per cui, invece, siamo ancora capaci di versare lacrime di commozione perché gli attori sono belli, la musica trascinante e coinvolgente, la regia perfetta, le inquadrature ben studiate?
Quanti di quelli che oggi guardano questa donna con suo figlio con indifferenza, con noia, perché "che palle, con questi migranti! Voi buonisti del cxxxo non sapete parlare d'altro!", hanno versato fiumi di lacrime davanti ad una scena simile, nel film Titanic?
Ebbene, voglio rivelarvi un segreto: quelli erano attori, non sono morti sul serio! Queste due persone si. Ustionate dal sole, assetate, affamate, senza più speranza, hanno visto morire ciò che avevano di più caro al mondo. Non c'era un ciak  che alla fine ha decretato il termine della ripresa. Non si sono alzati per togliersi il trucco di scena.
Eppure, tanta gente oggi non proverà nulla. Alcuni, addirittura, esulteranno per due invasori in meno.

"Non possiamo accoglierli tutti.
Chiudiamo i porti, così capiscono che non devono partire.
La smetteranno di venire qui a fare la bella vita."

Bene. E nel frattempo? Le persone che sono in mare le lasciamo affogare. Così vedrai che la smetteranno di partire.
Che restino a morire di fame o di guerra nel loro paese. Che restino a subire dittature, repressioni, violenze, nel loro paese.
Così noi non li vedremo nemmeno e non ci sarà il rischio che - no, non che ci rimorda la coscienza a vederli morire, perché ormai la coscienza è sopita - non ci sarà il rischio che dobbiamo ancora usare le nostre risorse, i nostri soldi, per andare a salvarli.


"Mamma, hai visto quanto è grande, il mare? 
Non lo sapevo, non lo avevo mai visto. 
Abbiamo camminato tanto, su una spiaggia grandissima, ma alla fine lo abbiamo raggiunto!
Anche noi, adesso, abbiamo un canotto per andare al largo! 
Mamma, però che caldo fa qui...
Mamma, non ricordo mica quando abbiamo fatto merenda! Forse non posso ancora fare il bagno...
Mamma, guarda, sto galleggiando!
Mamma, guarda, ho imparato a fare il morto!"



giovedì 10 maggio 2018

Io e il reggiseno...

Cerco un reggiseno (ok, lo so, il mio sta su da solo, visto che è piccoletto, ma si sa, sia mai che si vada in giro in estate con una maglietta da cui si intravedano i capezzoli! Quelli maschili si possono mostrare, invece).
Entro in quattro negozi e tutti hanno solo reggiseni imbottiti e solo con il ferretto.
Imbottiti.
D'estate.
Anche le taglie dalla quarta in su.
Macosacavolotiimbottisci se hai due cocomeri??
E quando ci sono quaranta gradi che fai? Ti si scioglie il decolleté?
E poi c'è il ferretto.
Se non hai il seno esattamente della forma del ferretto, detto strumento, piccolo ma infido, ti si infilerà nel delicato tessuto mammario provocando movimenti inconsulti durante tutta la tua serata galante e dopo due ore starai ululando dal dolore.
Lupo ululà, donna col reggiseno pure.
Se tanto tanto una ha, come ho io, l'attaccatura del seno ampia (piccolo, ok, ma ben ancorato, yeah), il ferretto si infilerà proprio a metà del quadrante superiore esterno e di quello interno (notate il linguaggio professionale, oh yes).
Preparatevi a vedere i miei capezzoli che ammiccano allegri da sotto le mie magliette, questa estate, oppure a vedermi sudare come uno yak in piazza Stazione all'una di una domenica di luglio, mentre muggisco dal dolore e, in un ultimo sprazzo di lucidità, lancio i ferretti contro le rotaie del tram, provocandone il deragliamento.


lunedì 19 marzo 2018

Crocifisso o Risorto?

Qualche giorno fa un amico con cui stavo discutendo si chiedeva perché i cristiani avessero preso come simbolo il crocifisso, anziché una immagine di Gesù risorto. Lui affermava che i cristiani predicano Gesù Risorto, la gioia della Resurrezione, la speranza nella vittoria della vita sopra la morte ecc... e quindi gli sembrava strano, triste, che invece il simbolo fosse rappresentato da un uomo che soffre e muore, da un simbolo di dolore, di morte (e che morte...).


Questa osservazione non è certo nuova, dato che già San Paolo scriveva: 

" La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti:
Distruggerò la sapienza dei sapienti
e annullerò l'intelligenza degli intelligenti
.
Dov'è il sapiente? Dov'è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini." (1Cor 1,22-25)

La croce ha sempre destato scandalo. Viene spontaneo pensare che sarebbe più bello presentare un Gesù vittorioso, splendente, risorto. Non attirerebbe forse di più? Perché ricordare che esiste il dolore, la morte? Non siamo già abbastanza circondati da essa?






Del resto, la vita di Gesù insegna: quando è entrato a Gerusalemme osannato da tutti, con la fama di guaritore, di chi moltiplica il cibo, risuscita morti, è stato accolto da una folla enorme, portato in trionfo. Dove era tutta quella gente, sotto la croce?


Eppure...
La croce non ci viene mostrata per un sadico tentativo di dirci che solo attraverso la sofferenza possiamo salvarci o per farci sentire in colpa per i nostri peccati dato che "Gesù ha sofferto tanto per te". 
Ma è lì a ricordare che Gesù ha dato tutto per noi, ci ha amati di un amore così grande che non si è cancellato nemmeno davanti alla morte. Dio ha cambiato un segno di morte e sofferenza in un simbolo di amore, di vittoria. Gesù avrebbe potuto rifiutare: "che cosa devo dire?....Padre salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono venuto a quest'ora" (Gv 12,27). Invece non lo ha fatto. Ha accettato in pieno il disegno su di Lui. Anche se prevedeva la sofferenza. Sapeva che sarebbe risorto? Certo, ma come uomo la sofferenza l'ha provata tutta e ne era spaventato. 
E questo, mi direte, non significa forse dire agli uomini: "guardate come vi ha amato Gesù e voi, invece..."? 
No, significa dire agli uomini: "So cosa significano le vostre sofferenze. Anche io ho sofferto, come voi. So la paura che provate, il dolore che subite. Ma sono qui. Sono qui accanto a voi, proprio perché so cosa si prova. Non ho rifiutato la sofferenza, l'ho abbracciata per far sì che ogni uomo che soffre sappia che anche lui passerà la resurrezione, se si affida a Dio Padre, come ho fatto io"
Mostrare la Croce è quindi andare contro il mondo che ci vuole tutti vincitori, tutti belli e splendenti come Gesù sul Tabor. E che scarta, rifiuta l'idea della morte, della sofferenza, del dolore. Un mondo che elimina i sofferenti, li nasconde, fa tabù della morte, evita di mostrare chi non è "perfetto".
Gesù stravolge tutto questo.
La Croce, "stoltezza per gli uomini", diventa il segno della potenza, della sapienza, dell'amore di Dio, così che gli uomini non abbiano più paura di essa, ma, affidandosi a Dio, sappiano che tutto possono "in Colui che mi dà forza", che anche loro avranno conforto, salvezza, resurrezione, vita eterna.